06/01/2016

Cronache da un Centro Anti-Violenza

Cronache da un Centro Anti-Violenza

“Quando si lotta per qualcosa di importante bisogna circondarsi di persone che sostengono il nostro lavoro.
È una trappola e un veleno avere intorno persone che hanno le nostre stesse ferite ma non il desiderio vero di guarirle.”
(Da Donne che corrono con i lupi,
Clarissa Pinkola Estés)

La strada verso la consapevolezza

Da alcuni anni collaboro con un Centro Antiviolenza, la Casa delle Donne di Treviglio, uno dei centri in Italia che si pongono come punto di riferimento per le donne vittime di maltrattamenti, violenze ed abusi.
Per quanto non fossi nuova a questo tipo di problematiche avendo lavorato presso il Dipartimento di Salute Mentale per molti anni ed ora come libera professionista, fin da subito mi è stato chiaro che qualcosa nel mio modo di pormi di fronte al problema sarebbe dovuto cambiare.
Infatti mi sono resa conto di quanto fosse importante rinunciare alle sicurezze che il nostro ruolo di professionista in un certo qual modo dà, per provare a mettermi in gioco in un modo diverso.
L’idea che guida il nostro Centro è quello di “fare squadra”, ossia coordinare tutte le energie e risorse disponibili per realizzare un progetto comune, quello di libertà ed autonomia della donna in un ambito, quello del maltrattamento, dove questi termini sono una terra sconosciuta.
Nella nostra Associazione ad accogliere ed accompagnare nel percorso di autonomia le donne che si rivolgono al centro ci sono sia professioniste (avvocate, assistenti sociali, psicologhe, pedagogiste….), sia donne che, avendo già vissuto e superato il problema del maltrattamemto, mettono a diposizione la loro esperienza per aiutare le altre donne, sia donne sensibili alle tematiche del maltrattamento e disponibili a dare il loro contributo.
Cosa succede quando una donna viene inviata a me in quanto psicologa? …innanzitutto la donna quando arriva da me ha già fatto una fase di accoglienza in cui è stata raccolta la domanda e si sono individuate alcune ipotesi di intervento, tutte da verificare. Spesso ho la sensazione che nei miei confronti, come nei confronti delle mie colleghe, ci sia inizialmente un’aspettativa quasi magica, come se in qualche modo noi avessimo il potere di cancellare le loro tristi storie, liberarle dall’orco che le tiene prigioniere e regalare loro una vita serena. Quando arrivano infatti sono poco consapevoli delle loro risorse e della forza che possiedono. Ci vuole forza infatti, all’interno di una relazione violenta, per mantenere un equilibrio e non fare degenerare la situazione… questo soprattutto quando ci sono dei figli che possono diventare anche essi vittime di maltrattamento diretto o di violenza assistita. Ci vuole forza per arrivare a chiedere aiuto. Penso ad Anna quando mi diceva…”lui pensa che io sia stupida… mi tratta male, mi insulta, mi considera una sua schiava ed io zitta, faccio quello che mi chiede… so che se rispondo è peggio… si arrabbia, perde il controllo e diventa violento fisicamente, … l’ha già fatto in passato… (e mi mostra una cicatrice sul braccio lasciata da una sigaretta). E’ per questo che sono qui”. Anna ha la consapevolezza della propria situazione ed ha chiesto aiuto. Altre donne fanno più fatica… avvertono che qualche cosa non va, che non va bene che il proprio compagno usi violenza ma, tutto sommato, credono anche che se questo avviene è perché, in qualche modo, c’è qualche cosa che non va in loro o comunque qualche errore l’hanno fatto. Ho presente Mariangela, due lauree, casalinga per desiderio del marito e due figli… che diceva… “certo che, se quella volta in cui mio marito aveva invitato a cena un suo amico, non avessi fatto bruciare il brasato, lui non avrebbe reagito in quel modo… avrei dovuto stare più attenta”. Con Mariangela è stato il brasato bruciato, altre volte l’aver esposto un’idea diversa da quella del compagno, altre volte ancora… non ci sono motivazioni se non il bisogno di umiliare la propria donna e ribadire la propria posizione di potere.
E’qui che inizia il mio lavoro: nella mia cassetta degli attrezzi, da un punto di vista psico-terapeutico, mi è di aiuto una visione sistemica della relazione, l’utilizzo dell’EMDR per il rinforzo delle risorse e per il superamento degli eventi traumatici presenti e passati e tecniche di Mindfulness per favorire la consapevolezza di quanto sta accadendo dentro di sé e nella relazione con l’altro e promuovere il cambiamento.
Ma, al di là delle metodologie utilizzate, quello che importa più di tutto è che si tratta innanzitutto di un incontro, di un incontro tra due donne, una donna che ascolta ed un’altra donna che si racconta, ed è questa relazione ad essere il tramite per consentire a quest’ultima, alla donna vittima di violenza, di arrivare ad una maggior consapevolezza di sé, della situazione che sta vivendo e delle proprie capacità.
Attraverso la relazione terapeutica la donna comincia a vedere l’operatore come una risorsa che possa aiutarla a mettere in moto le sue energie e quindi inizia a percepirsi come protagonista principale del proprio cambiamento: la donna viene perciò accompagnata in un percorso di realizzazione di sé, viene sostenuta affinché possa trovare una soluzione adatta a sé ed alla propria situazione, sia che si parli di allontanamento da casa, di separazione, denuncia o coinvolgimento dei Servizi Sociali, soprattutto quando ci sono dei minori.
Spesso, a conclusione di un percorso che ha portato la donna ad allontanarsi dalla situazione di violenza, si accompagna un po’di incredulità. Alcune non riescono a credere di avere subito tanto e per tanto tempo, ma soprattutto sono tante coloro che si stupiscono della loro forza e capacità con cui hanno affrontato la propria situazione. Spesso vi è anche la consapevolezza che è stato fatto un passo ma che il percorso non è finito, come si comprende dalle parole di Sara, una giovane donna che è riuscita a chiudere una convivenza con un uomo che aveva il potere di farle vivere dei momenti in cui si sentiva una regina a momenti di gelosia incontrollata in cui lui diventava controllante e aggressivo. “Ora so che mi sentirò sola… magari mi mancherà quell’uomo… accidenti se mi mancherà….ma il mio era un amore malato… ora devo trovare la mia guarigione… solo allora potrò essere pronta ad amare… ma sarà un amore diverso basato sul rispetto e sulla reciprocità. Adesso è ancora presto per questo… prima devo imparare…e già ho iniziato… ad amare me stessa”.

 

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